Psicologia dello sport
a cura di: Dott. Aldo Grauso
Psicologo Clinico esperto in psicologia evolutiva
Psicologo dello Sport, collaboratore LND – FIGC.
a.grauso@consulenzepsicologiasport.it
Certi genitori? bisognerebbe ammazzarli fin da piccoli.
Il ruolo dello psicologo dello sport nelle scuole calcio. Lo sport
rappresenta una realtà in cui responsabilità individuale, rispetto
delle regole si coniuga a divertimento in una situazione di scelta
personale del ragazzo. Si dice che lo sport sia scuola
di vita, per me lo può essere a patto che si metta una grande attenzione
nell’insegnarlo e nel praticarlo. Un’altra premessa, molte cose di cui
parlerò spesso non si riesce a metterle in opera per una serie di
situazioni contingenti, ma credo che la coscienza di ciò che deve essere
fatto sia il primo passo per raggiungere un obiettivo.
Come arrivano i ragazzi a fare sport:
Messaggi pubblicità: dai giornali, ai compagni di scuola, alla Tv, ai video giochi dove ci si disegna campione (play station)!
Spinta del genitore:
o ex atleta.
o sue mancate aspirazioni, la rivincita.
Compagni di scuola, amici.
Questi messaggi sono molto spesso
improntati alla competitività esasperata, al vincere ed primeggiare tra
gli altri come unica strada di fare sport.
Il non riuscire nello sport è un vedersi
diminuito come immagine verso gli altri (genitori, compagni) e verso se
stessi. E’ meglio andare male a scuola che non riuscire nello sport
(secchione!) Il riuscire all’opposto da spesso una prospettiva sbagliata
di se stessi nella vita ed una sensazione di onnipotenza. Da tutto ciò
nasce una situazione di stress che va gestita dagli istruttori e dai
genitori attraverso un corretta comunicazione tra:
1) Atleti – Istruttori
a) E’ la relazione più importante e può essere danneggiata da improprie critiche da parte dei genitori.
2) Genitori – Istruttori: quanto il tipo
di rapporto influisce in modo diretto sull’atteggiamento e sul
comportamento del giovane atleta nei confronti dello sport, non è facile
definire ma la sua importanza è sostanziale.
a) Cosa il coach deve comunicare ai genitori:
− Filosofia di gioco del coach
− Aspettative sul ragazzo
− Organizzazione degli allenamenti
b) Cosa comunicare all’allenatore
− Avere un primo contatto positivo presentandosi e proponendo una
collaborazione
− Preoccupazioni particolari: comunicate direttamente al coach (problemi
caratteriali, fisici, etc.).
− Problemi pratici (concomitanze di orari, studio, etc.)
− Specifiche preoccupazioni riguardo alla filosofia ed alle aspettative del
coach.
c) Di cosa discutere con il coach
− Il trattamento riservato al figlio, mentalmente e fisicamente
− Modi per aiutarlo a crescere
− Preoccupazioni per il suo comportamento
d) Di cosa non parlare con l’allenatore
− Tempo di gioco
− Strategie di gioco
− Schemi chiamati
− Di altri giocatori
e) Come fare se ci sono cose di cui parlare con l’allenatore
− Fissare un appuntamento lontano dalla partita e dall’allenamento, in una situazione tranquilla e riservata.
3) Genitori - Atleti
a) Non cercare di vivere attraverso tuo figlio.
b) Se credi che l’allenatore non stia svolgendo un buon lavoro, non comunicarlo a tuo figlio.
c) Non dare suggerimenti tecnici durante la partita.
d) Non dare un cattivo esempio urlando contro arbitri ed avversari.
Il temperamento prima, e il carattere
dopo, svolgono una funzione molto importante, non insistere con un
figlio timido a partecipare ad uno sport di squadra quando per lui la
corsa di lunga distanza è una situazione con cui si trova bene. La
domanda centrale è “mio figlio si diverte nel fare sport?”. Ma spesso
questo interrogativo non viene preso in considerazione da parte dei
genitori. Insieme alle abilità tecniche i ragazzi imparano l’importanza
di riuscire in un compito, il valore di avere una passione sportiva le
ricompense del lavoro di gruppo, la gioia di raggiungere un obiettivo,
l'importanza di sforzarsi per eccellenza, l'appoggio di un adulto
premuroso ed il gusto dolce di realizzare il successo.
Il ruolo dell’allenatore deve essere quello di:
o Saper insegnare e non solo avere conoscenze tecniche
o Dare entusiasmo, con la voce, con l’esempio sul campo
o Saper ascoltare, avere capacità di comunicare: Il rispetto nasce
anche dal dimostrare la volontà di
ascoltare gli atleti per tirare fuori che cosa hanno dentro e che aiuto
richiede. Comprendere l’importanza dei piccoli problemi, la gelosia tra
compagni per esempio. Aiutare il figlio a sviluppare una sana
aspettativa personale, accettando successi e fallimenti che derivano dal
praticare uno sport. Questo è uno dei compiti principali che ha un
genitore.
Parlare con tuo figlio lontano dalla partita o dalla gara.
Cercare di stimolarlo a parlare ad
esprimere ciò che sente, ciò che gli piace dell’allenamento, le sue
esperienze. Ci vorrà tempo perché inizi a parlare.
Cercare di creare l’auto coscienza di
ciò che ha fatto di buono, anche se la squadra ha perso. Se ha giocato
male cerca di parlare di cosa ha imparato dagli errori fatti e cosa fare
per migliorare in vista delle prossime partite. Comprendere la
sensibilità dei ragazzi e quando arriva di cattivo umore condividi i
suoi sentimenti, fargli sentire che si ha capito. Dargli una prospettiva
più ampia della situazione.
Cosa fare con un figlio non atleta: ci
sono tante altre possibilità di vivere lo sport, allenatore,
giornalista, statistiche, arbitro…!
“Primo l’atleta, secondo vincere” ma il
vincere ha un suo valore, si deve imparare dalle vittorie come dalle
sconfitte ed occorre spiegarlo ai ragazzi che percepiscono la
differenza. Il modo in cui il ragazzo reagisce allo stress dipende, in
sostanza, dall’allenatore e dai genitori.
Le regole del “buon”genitore.
Il ragazzo che sceglie di impegnarsi in
uno sport merita rispetto e stima da parte dei genitori, che devono
cercare di spronarlo ed incoraggiarlo nello svolgimento di tale
attività, ma sopratutto capire, e fargli comprendere , che lo sport è
prima di ogni cosa, divertimento e voglia di stare insieme, senza
nutrire gelosie inutili o false ambizioni, che, il più delle volte, sono
di ostacolo e non di aiuto al genitore. In effetti, particolarmente nel
calcio e nella fascia d'età compresa tra i 7 ed i 14 anni, il genitore
si trova di frequente protagonista di situazioni spiacevoli, che creano
problemi ed ostacoli ad una serena e positiva attività sportiva per il
proprio figlio.
Molto spesso, un occhio attento scopre che il vero protagonista delle partite giovanili, colui che è più carico di tensioni, che si è preparato meticolosamente e che poi si dispera se si sbaglia un tiro in porta è proprio il genitore. Il ragazzino, invece, scuote le spalle, cancella quasi subito l'errore o la sconfitta e, in definitiva, l'unica cosa di cui veramente si rammarica è l'idea della predica che lo aspetta a casa. Può capitare che inconsciamente si tenda a realizzarsi attraverso il bambino e a proiettare su di lui i desideri che non si è riusciti a soddisfare da giovani. Con la convinzione che "lo si fa per il suo bene", in realtà si può correre il rischio di diventare veri e propri deterrenti psicologici, non solo condizionando negativamente il rendimento in gara, ma, fatto ancora più grave, danneggiando lo sviluppo psicologico del ragazzo. Molto spesso si vorrebbe che il proprio figlio non dovesse mai soffrire, ne commettere errori, ma ricevere dalla vita solo gioia e felicità: questo, purtroppo, non è possibile ed il compito del genitore diviene, perciò, quello di non intromettersi nelle scelte del figlio e di non voler vivere la vita al suo posto, capendo che ogni errore commesso ed ogni dolore provato aiuta il ragazzo a crescere ed a formare una sicura personalità. Penso che l'attività sportiva sia uno dei mezzi migliori per aiutare il proprio figlio a maturare e a crescere, in quanto lo sport spinge il giovane ad impegnarsi, a cercare di migliorarsi, a mettersi continuamente alla prova, a stringere rapporti sociali, a comprendere il sacrificio e l'umiltà, ad assumersi delle responsabilità ed a divenire membro di una collettività nella quale vigono, per ciascuno, diritti e doveri.
Di seguito vengono proposti alcuni
suggerimenti per i genitori, frutto di esperienze e che servono ad
indicare un modello di comportamento positivo nei riguardi dei propri
figli, modello che, ovviamente non ha nessuna pretesa di essere un
Dogma, ma solo una traccia di riflessione.
La psicologia nello sport offre alle
famiglie informazioni utili sul profondo significato educativo dello
sport e su come favorire nei figli lo sviluppo dell'autostima e la
gestione dell'ansia da prestazione.
In un progetto di formazione nello sport che si prenda cura dell’individuo e’ utile trovare uno spazio adeguato ai genitori.
E’ opportuno premettere che i genitori,
nonostante siano orientati a desiderare il meglio per i loro figli e a
non commettere errori, sono esseri umani e perciò fallibili, nonostante
le intenzioni.
Ciascun genitore raccoglie in sé pregi e difetti, potenzialità e limiti, desideri ed aspettative.
Il mondo dello sport e’ fatto di regole,
rispetto, accettazione, valorizzazione delle qualità, consapevolezza
dei limiti, vittorie e sconfitte, delusioni e soddisfazioni.
Il genitore utile allo sport è in conclusione colui che:
La psicologia nello sport può offrire a
tutti coloro che frequentano centri sportivi una opportunità di crescita
culturale perché può essere un veicolo di conoscenza di temi che si
trovano sempre più al centro dell’interesse tra le persone.
Lo sport infatti non è solo movimento.
E’ anche educazione, rispetto, cultura, valori, benessere, stare
insieme, condividere, accettazione dei propri limiti, valorizzazione
delle proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova, autocritica,
obiettivi da raggiungere e da condividere. E’ amicizia, fratellanza,
sana competizione.
Insegna a gioire della vittoria e ad
accettare l’amarezza della sconfitta, a cadere per poi rialzarsi, a
vivere le emozioni. Tutto questo è cultura sportiva e la psicologia può
essere il veicolo per valorizzare la vera essenza dello sport.
L’importanza del Feedback positivo – costruttivo.
Il feedback, ovvero il riscontro che
date a vostro figlio, deve essere costruttivo sempre! Se si vuole fare
crescere i vostri figli con una forte autostima e senso di sicurezza,
confidenti nelle proprie capacità, questo è l'unico modo che avete per
centrare questo vostro obiettivo.
Concentratevi su ciò che hanno fatto bene, specificando cosa e come. Bisogna rinforzare gli atteggiamenti positivi e sottolineare sempre ciò che i vostri figli fanno bene, non dare nulla per scontato o per dovuto.
Anche ciò che a voi sembra una
sciocchezza o una banalità, o un gesto facile, per i vostri bimbi può
essere un'impresa che non deve passare inosservata ai loro genitori:
così facendo li stimolerete a ripetere la prova positiva.
Se dite ad una persona che sta bene
vestita con il rosso, probabilmente, tenderà a vestirsi sempre più
spesso di rosso: se fate notare ai bimbi che sono bravi fare un gesto,
probabilmente lo ripeteranno con più facilità.
E’ fondamentale insegnare al proprio
figlio a tollerare la frustrazione. Ogni genitore per il proprio figlio
vorrebbe il meglio e se fosse possibile gli eviterebbe di imbattersi in
qualsiasi esperienza negativa. Semplicemente perché lo ama molto. Ma
proprio per questo, bisogna avere la forza di fargli sperimentare, oltre
alle cose belle, le delusioni e le esperienze problematiche. A tale
proposito, lo sport oltre a permettere al bambino di fare esperienza di
una serie di eventi positivi, da l’opportunità di cimentarsi nella
sconfitta, attraverso la partita persa, i rimproveri del compagno, il
gol subito o la mancata convocazione. Anche se per ogni genitore è
doloroso vedere il proprio figlio deprimersi o soffrire per ciò che sta
vivendo, è importante insegnargli che bisogna tollerare i momenti
difficili, perché con questa esperienza si propone al bambino
l’opportunità di trovare la strategia personale per reagire alle
situazioni stressanti della quotidianità. Se non si insegna ai propri
figli che le cose non vanno sempre come si desidera, da adulti non
saranno in grado di farlo da soli. Quindi bisogna sostenerli a
sopportare una delusione che viene dall’esterno, guardando con ottimismo
alle opportunità future di riscattarsi, suggerendogli in questo modo
una strategia per non sentirsi sopraffatti dagli eventi. Lo sport dà
l’opportunità ad un bambino di fare questo tipo di esperienza, bisogna
sostenerlo e spiegargli con amore che più si imparano a sopportare le
sconfitte più ci si rafforza, ma prima è necessario che sia convinto di
questo il genitore che suggerisce il messaggio.
A volte dopo una partita, il genitore,
insoddisfatto del risultato o della prestazione del figlio, si mette a
criticare le decisioni del mister, non rendendosi conto, per mancanza di
conoscenza di questi meccanismi, che così facendo svalorizza una figura
di riferimento per il figlio, discernendola di credibilità. Inoltre,
ciò può indurre il bambino, che tende ad imitare il genitore,
all’abitudine di criticare tutti, proiettando spesso sugli altri il
motivo di una sconfitta, o di un’ammonizione, senza riconoscere le
proprie manchevolezze. In questo senso può capitare che invece di
rendersi conto di non aver giocato molto bene, si dà la colpa
all’arbitro, o all’allenatore, soprattutto se si assiste alle
affermazioni di un genitore che non riconosce i limiti del figlio. Così
facendo, si esclude al bambino l’opportunità di riflettere e capire dove
si è sbagliato, traendo da ciò degli spunti di crescita.
Distinguere se stesso dal proprio figlio
Spesso il proprio figlio è vissuto come
un prolungamento di se stessi. Questo atteggiamento, spontaneo e non
controllabile, è la conseguenza della tendenza dell’essere umano a
vedere una parte di sé nel bambino che mette al mondo. Se succede di
vedere piangere il proprio figlio in mezzo al campo perché ha sbagliato
il rigore o ha subito un fallo, ci si sente inquieti e si può reagire in
modo brusco, magari con il genitore di quel bambino autore del fallo.
Tutto ciò accade perché quell’esperienza è stata vissuta come un attacco
alla parte di se stessi a cui si tiene di più, ovvero quella proiettata
sul figlio. In questo senso, il genitore vive le esperienze del proprio
figlio come se fosse lui a farle, recependo le sue sconfitte come se
fosse lui il perdente, sovreccitandosi anche in modo troppo acceso se il
figlio vince. Questo atteggiamento non passa inosservato al bambino,
che è sensibile agli stati d’animo del genitore ed al modo in cui egli
si comporta o parla con lui. Se dopo aver perso la gara, vede il
genitore affranto con il suo silenzio o ipercritico, oppure a seguito di
una vittoria lo sente esprimere un eccesso di elogi, l’idea che si fa è
che sia accettato da lui soltanto se vincente. Ciò può portarlo, nel
momento in cui si appresta a disputare la gara, a concentrarsi soltanto
sul tentativo di non perdere, per evitare di sopportare la delusione di
vedere insoddisfatto il proprio genitore. Sarebbe invece costruttivo che
si concentrasse sulla collaborazione con gli altri compagni, su ciò che
gli suggerisce dalla panchina il mister e disputare la propria gara,
non quella che si aspetta il genitore. Lasciare al proprio figlio lo
spazio di farsi un’idea personale degli altri e delle situazioni. Il
bambino di solito, valuta le sue esperienze in base a come i genitori le
vivono, in quanto non ha ancora senso critico. Se si dice al proprio
figlio: “Questa maglietta ha un colore che non ti sta bene” lui molto
spesso non riesce a capire che si tratta di un giudizio personale, ma
pensa che in assoluto quel colore non gli stia bene. Nel contesto
dell’esperienza calcistica questo significa che dargli giudizi personali
su altri calciatori, o sull’allenatore, o su un’altra squadra, potrebbe
confondergli le idee, inquinando il rapporto che il bambino tenta di
stabilire con gli altri.
E’ necessario delegare la preparazione
del figlio, esclusivamente all’allenatore. Partecipare all’attività del
figlio come se si assistesse al calcio degli adulti, entusiasma e
coinvolge i genitori, ma senza dubbio relega in secondo piano
l’attenzione per il bambino e molto spesso incide sulla figura
dell’allenatore, esponendolo a critiche e giudizi poco obbiettivi, che
rischiano di demotivarlo ed interferire sul lavoro che compie con
impegno e professionalità. Di fronte a questo problema, non si può avere
la pretesa di modificare una concezione del calcio che ha radici
culturali profonde e largamente condivise. Bisogna tuttavia riconoscere,
che spesso il genitore agisce in modo inadeguato involontariamente,
perché non si rende conto che l’allenatore rappresenta per il proprio
figlio una figura di riferimento importante, che il bambino tende ad
idealizzare e che le critiche rivolte al tecnico possono disorientarlo.
L’allenatore che lavora in una scuola calcio dovrebbe essere
riconosciuto un ruolo ben diverso da quello del tecnico delle squadre
che si seguono in televisione, in quanto egli è un educatore che
nell’istruire allo sport, insegna al bambino ad esprimere le sue
potenzialità al meglio, intendendo con queste non solo le capacità
tecniche, ma la capacità di socializzazione in un gruppo, di gestire
l’ansia attivata dal mettersi in gioco, la capacità di diventare
autonomi negli spogliatoi, di rispettare l’autorevolezza
dell’allenatore, quindi una serie di aspetti dal valore educativo utili
per la crescita.
Non ci si può, quindi, limitare a
valutare il suo operato esclusivamente dal numero delle vittorie e dalle
sconfitte raccolte, ma bisogna predisporsi a valutare in un modo più
ampio il suo lavoro ed i suoi risultati, cercando di interferire il meno
possibile. In questo senso, il genitore dovrebbe essere in grado di
lasciare l’allenatore libero di fare le sue scelte, anche perché se è
vero che nessuno meglio del genitore conosce il proprio figlio e pur
vero che nessuno meglio dell’allenatore conosce la sua squadra.
Se poi i risultati non sono
soddisfacenti per il genitore, bisogna considerare che potrebbero
esserlo per l’allenatore, che per esempio con una formazione alternativa
mandata in campo intende, magari, sperimentare nuove potenzialità del
gruppo al di là del risultato. Molto spesso, il genitore concentrato
esclusivamente sul risultato, non coglie taluni aspetti e muove più o
meno direttamente delle critiche, che rischiano di confondere il tecnico
e ripercuotersi sull’andamento della squadra, inficiando proprio su
quello a cui i genitori aspirano, ovvero veder vincere il proprio
figlio.
Il genitore dovrebbe cercare di rendersi
conto di quali siano le sue aspettative nei confronti del proprio
figlio e quali siano le reali capacità del figlio di attuarle. Ogni
bambino ha le sue preziose potenzialità e se tra queste non ci rientra
la capacità di giocare bene a pallone, bisogna essere in grado di
riconoscere che il proprio figlio potrebbe sentirsi molto più realizzato
e sicuro di sé nell’ambito di un altro sport. A meno che non gli si
faccia capire che il calcio è un gioco e che prima di tutto ci si deve
divertire, in questa ottica non è necessario essere un campione per
disputare una gara.
Il genitore dovrebbe sapersi concedere
uno spazio di riflessione, in cui chiedersi cosa si aspetta dal proprio
figlio, in questo modo potrà rendersi conto che al di là delle
aspettative compensatorie per cui si desidera vedere attuare in lui
quello che non si è riusciti a diventare, l’aspettativa profonda a cui
ogni genitore tiene di più è senza dubbio quella di desiderare che il
proprio figlio diventi un adulto sereno. Per far si che ciò avvenga
bisogna prima di tutto lasciarlo libero di essere quello che è e
proporsi a lui come un valido riferimento da cui trarre conforto ma
anche incitamento, controllando meglio che si può l’insidioso tentativo
che a volte sfugge, di plasmarlo secondo i propri desideri.
In conclusione quel genitore che in
tribuna si emoziona perché il figlio sta calciando il pallone, assieme
al desiderio di vederlo vincere dovrebbe tentare di vedere la situazione
con un’altra ottica, per cui incitarlo affinché non demorda
nell’affrontare meglio che può l’avversario, impegnandosi con tenacia
nel perseguire le direttive del mister, non abbattendosi se qualcuno più
forte di lui lo contrasta. In tal modo, il genitore diviene spettatore
di un evento più soddisfacente della vittoria stessa: vedere il proprio
figlio impegnato ad esprimersi al meglio indipendentemente dal
risultato, dal momento che entra in campo fino al fischio finale di
quella partita che è solo sua.
Forza NIKE' ! |
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